Il referendum dell'8 e 9 giugno si è concluso con un dato inequivocabile: il quorum non è stato raggiunto1,2. Con un'affluenza ferma al 30,6%, ben lontana dal necessario 50% + 1 per rendere valida la consultazione, il risultato è stato chiaro: il voto non ha avuto alcun effetto concreto1,2. Eppure, il Governo e alcuni media hanno enfatizzato la netta vittoria del "Sì", con percentuali che superano l’87% su diversi quesiti1,3. Ma cosa significa davvero questa "vittoria"?
Un Quorum Strategico e una Democrazia Illusoria
L’obiettivo dichiarato del Governo era quello di raggiungere il quorum per poter modificare le leggi in gioco2. Tuttavia, il fallimento dell’affluenza ha reso il referendum inefficace, lasciando intatte le normative esistenti. Nonostante ciò, la narrazione ufficiale ha cercato di trasformare una sconfitta in un successo, evidenziando il consenso schiacciante per il "Sì" e minimizzando il dato più rilevante: la scarsa partecipazione. Questa strategia non è nuova. Da anni, il quorum viene utilizzato come arma politica, un
ostacolo che permette di neutralizzare la volontà popolare quando non conviene ai vertici del potere2. Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha definito il quorum un "ostacolo alla democrazia", proponendone l’abolizione2. Ma è davvero il quorum il problema, o piuttosto la crescente sfiducia dei cittadini nel sistema?

Un Popolo Disilluso e un Voto Senza Peso
La bassa affluenza non è solo un dato statistico, ma il sintomo di una democrazia in crisi. Sempre più italiani percepiscono il voto come inutile, un rituale svuotato di significato, dove le decisioni vengono prese altrove, indipendentemente dall’esito delle urne.
Il referendum del 2025 ne è la prova: il Governo ha giocato tutte le carte per mobilitare l’elettorato, ma il popolo ha risposto con l’arma più potente: l’astensione2.
E allora, la domanda resta: il voto conta ancora? Oppure siamo di fronte a una democrazia di facciata, dove le consultazioni popolari servono solo a legittimare decisioni già prese?
Il referendum dell’8 e 9 giugno ha lasciato un messaggio chiaro: il popolo non si è fatto ingannare. Ma basterà questo per cambiare le regole del gioco?
Un’astensione che grida dissenso: il popolo non si arrende
L’affluenza bassa al referendum dell’8 e 9 giugno non è solo un dato da archiviare, ma il segno tangibile di una disillusione crescente nei confronti di una politica che sembra ormai rispondere solo agli interessi di pochi, piuttosto che alla volontà collettiva.
Il mancato quorum non è una sconfitta dei cittadini, ma una presa di coscienza: il gioco è truccato, e parteciparvi non significa cambiare le regole, ma legittimarle.
Arrendersi non è un’opzione. L’astensione deve diventare una forma di protesta consapevole, un segnale forte che costringa la politica a riconoscere il problema e affrontarlo. Perché se il voto non ha più il peso di una volta, la voce del popolo può ancora farsi sentire in altri modi: pressioni pubbliche, mobilitazioni, boicottaggi, e una critica incessante verso un sistema che perpetua gli interessi di lobbies e gruppi di potere.
Il referendum ha dimostrato che il popolo non è più disposto a essere usato come uno strumento di conferma per decisioni già prese, e questo è il vero messaggio che emerge dalle urne vuote. Ma ora la sfida è trasformare questa disillusione in azione concreta, per ricordare che la democrazia non si misura solo con le schede elettorali, ma con il coraggio di non accettare l’inaccettabile.
Non è il momento di abbassare la testa. È il momento di alzare la voce.
Fonti dei dati:
- elezioni.repubblica.it
- Sky TG24
- informazione.it
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